sabato 21 ottobre 2017

"Il Regno Banca d'Italia"

In questi giorni è montata una polemica sulle capacità di vigilanza della banca d'Italia, tanto da mettere in discussione la poltrona dello stesso governatore. La ritengo una discussione inutile, motivata probabilmente solo da ragioni elettorali. Altresì, ciò che ha destato il mio interesse è l'unanime levata di scudi, anche dai parte dei richiedenti la testa del numero uno di via Nazionale, a difesa della“indipendenza” di bankitalia.
Ma indipendenza da chi? Dal popolo italiano? Io penso che sia proprio questo uno dei gravi problemi che da tempo gravano sul nostro Paese.
Tempo fa scrissi (“Svegliamoci!”-edizione 2015-):
<In un recente documento riservato della banca d'Italia dal titolo “Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia” è scritto:
“Occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge numero 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. L'equilibrio che per anni ha assicurato l'indipendenza dell'Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, no va alterato.”
Al di là della mania di grandezza che pervade lo scritto per via della maiuscole sulle parole relative alla banca centrale ciò che fa rabbrividire è il disprezzo nei confronti del Parlamento Italiano, l'istituzione legislativa eletta direttamente dal popolo. I burocrati della banca d'Italia non vogliono che la proprietà sia dello Stato, ma gradiscono quella delle banche private.
E' il solito ritornello delle banche centrali: noi dobbiamo essere indipendenti per evitare l'ingerenza della politica che potrebbe condurci, per ragioni elettorali, a far stampare troppi quattrini generando il fantasma dell'inflazione.
Quanta falsità! La banca d'Italia vuole essere autonoma dal Tesoro dello Stato, ma legata a filo doppio con le casse delle banche private per fare i suoi comodi. Per non parlare dell'inefficienza dimostrata in tante occasioni negli ultimi decenni, a partire dall'avvento come governatore del tanto venerato e osannato Carlo Azeglio Ciampi, su crisi valutarie e sulla vigilanza del sistema bancario.
Ma come; l'articolo uno dello statuto indica chiaramente che la banca è un istituto di diritto pubblico, ma i ben pagati burocrati dell'istituto mettono nero su bianco che non vogliono lo Stato suo proprietario. Quale incredibile presa in giro.
La verità è che la banca d'Italia, come qualsiasi altra banca centrale vuole l'indipendenza e la totale autonomia dalla volontà del popolo per fare gli interessi esclusivi dei suoi amati figli, cioè le banche.
Questa condizione è realmente deplorevole, il patrimonio della banca centrale, comprese le riserve valutarie e l'oro, è della collettività, invece assistiamo all'incredibile paradosso che i soliti potentati ne controllano le quote incassando anche un bel po' di utili. E ancora più inverosimile è che parte dei guadagni dell'istituto centrale nascono quando la BCE stampa i soldi e li presta.
Allora, facciamo in modo che sia direttamente lo Stato Italiano a stampare le banconote indispensabili alla nostra economia. E' un discorso elementare che, ovviamente, andrà sempre di traverso a chi detiene oggi le leve dell'effettivo e concreto potere. Noi cittadini italiani siamo incatenati da questi tiranni in giacca e cravatta!
E per favore, non si venga a raccontare la favoletta che gli istituti privati rappresenterebbero una fonte di garanzia e indipendenza per le banche centrali. Chi ci crede più dopo gli innumerevoli scandali bancari nazionali e internazionali costati enormi quantità di denari a noi poveri mortali.
E' imperativo che la banca d'Italia ritorni a essere pubblica, ma senza che tale operazione porti soldi reali ai già ricchi banchieri. Sarebbe una sorta di esproprio per pubblica utilità. Alle banche non farebbe poi tanto male una cura dimagrante di potere.
E poi se si andasse a vedere chi sono i soci della banca d'Italia (fonte: sito ufficiale della banca d'Italia) si avrebbero amare sorprese. Infatti, i maggiori azionisti sono Intesa San Paolo e Unicredit, di cui tutto si può dire tranne che siano entità pubbliche visto che il maggiore azionista per entrambe è il “mercato” costituito dalle più grandi corporazioni estere quali banche e fondi comuni con sigle fumose, sedi anche in aree offshore e che, guarda caso, rientrano tra le centoquarantasette compagnie controllanti ogni cosa nel mondo di cui allo studio dello Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo. Si pensi che per l'Unicredit solo una piccolissima parte degli investitori istituzionali è italiana.
Allora, nello statuto della banca d'Italia viene specificato che essa è un'istituzione pubblica italiana, ma i suoi principali soci nulla hanno a che vedere con il nostro amato Paese.
Forse in molti obietteranno che sono fuori strada poiché i soci della banca d'Italia non contano nulla e che le decisioni le prende il governatore nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio Superiore (articolo diciotto dello statuto); parere di decisiva importanza visto che lo stesso articolo dello statuto lo segnala come essenziale ai fini della decisione del Consiglio dei Ministri.
In pratica, il nome viene...suggerito dal Consiglio Superiore che rappresenta un organo fondamentale della banca d'Italia.
Ma cos'è questo Consiglio Superiore? Esso è composto dal governatore e da tredici consiglieri nominati dall'assemblea (articolo quindici dello statuto). Assemblea? Ma quale assemblea? Beh, quella dei soci che non conterebbero un tubo.
Pertanto, in definitiva, anche la scelta del governatore è frutto della decisione di consiglieri nominati dalle banche. D'altronde, a parte i numeri, statuti, eccetera, basta usare un po' di buon senso. Ma il nostro Presidente della Repubblica avrà mai la possibilità di nominare governatore un soggetto diverso da quello che le lobby bancarie hanno già scelto?
Quindi, la conclusione logica è che la banca d'Italia non è un'istituzione pubblica perché di fatto i suoi controllori sono società per azioni dominate concretamente da soggetti privati i cui interessi non coincidono con quelli dell'intero popolo italiano.>
La banca d'Italia è un regno indipendente con i suoi privilegi. Ricordate la recente presa di posizione della Corte dei Conti e della stessa banca centrale? Affermavano: “tutti in pensione a settant'anni.” Ebbene il vero eldorado dei dipendenti pubblici è proprio la banca d'Italia (pubblici poi perché? Mah!). I fortunati dell'istituto centrale assunti sino al 1993 vanno in pensione a sessant'anni con il sistema retributivo. Woh! Ma come si fa ad avere un tale tasso di ipocrisia?
Inoltre, Il governatore prende oltre mezzo milione di euro l'anno, uno stipendio triplo del suo collega della Federal Reserve, la banca centrale statunitense; il direttore generale oltre quattrocentomila euro l'anno; per non parlare dei circa seicento dirigenti che prendono di più del Presidente della Repubblica. Quando ci fu un breve blocco dei contratti e, quindi, degli stipendi, i dipendenti del grande “regno” subito si ribellarono ritenendosi membri a tutti gli effetti della struttura dominante. Il personale della banca d'Italia, a partire dal vertice, ha sempre seguito la politica del rigore; come no, quella da applicare soltanto agli altri. Insomma, una volta entrati nel dorato ed esclusivo mondo di banca d'Italia non esiste più crisi che tenga, non esiste il precariato, non esiste il tetto sulle retribuzioni pubbliche, non esistono stipendi da comuni mortali, non esistono licenziamenti, non esiste la cassa integrazione, non esiste una pensione da fame; esistono unicamente privilegi tipici di una banca centrale indipendente dalla volontà popolare.
Nel regno della banca d'Italia vige sacro il principio di due pesi e due misure, segno distintivo della classe elitaria.


Alfred B. Revenge


Nessun commento:

Posta un commento