Qualche giorno fa l'ISTAT
ha rilevato l'aumento del tasso di disoccupazione all'11,7%,
superiore alla media europea. Questa notizia di per sé già negativa
riporta, tuttavia, un dato semplicemente di propaganda poiché non
fotografa la reale situazione lavorativa di milioni di persone.
Infatti, ciò che bisognerebbe prendere realmente in considerazione è
il tasso di “occupazione”; cioè l'esatta percentuale di
lavoratori attivi. E in questo caso cosa vedremmo? Una diretta
proporzionalità tra disoccupati e non? Ma quando mai! il nostro
amato Paese segna il passo nell'intera Europa per numero di occupati.
Nell'edizione 2017 del rapporto Noi Italia dell'Istituto Nazionale di
Statistica si può osservare che la percentuale degli occupati in
Italia nella fascia 20-64 anni è del 61,6%, distante dalla media
europea che si attesta intorno al 70% e ancor più lontana da Stati
come la Germania (quasi il 74%) e la Svezia (oltre il 78%). Insomma,
l'Italia è al terzultimo posto nel vecchio continente davanti
soltanto alla Grecia e alla Croazia. Molti milioni di Italiani non
lavorano, visto che esiste un'ampia zona grigia (gli inoccupati)
esclusa di fatto dalle statistiche. Nella realtà della vita
quotidiana lavorano sei italiani su dieci nella fascia 20-64 anni. Il
lavoro diventa sempre più scarso perché viene considerato una merce
nell'attuale sistema economico basato sul dominio del mercato. La
disoccupazione è vitale per l'élite capitalistica al fine di
mantenere elevati gli amati profitti; infatti, il lavoro costituendo
il costo più alto nell'impresa va ad intaccare gli utili per gli
investitori. Ecco che i beneficiari di questo sistema basato sulla
piena libertà di mercato non possono sopportare un'alta occupazione;
non a caso gli pseudo economisti seguaci di questa dottrina seguono
sempre con particolare attenzione le sensibili oscillazioni della
disoccupazione generate dalle delocalizzazioni produttive o dalle
crisi in grado di aumentare il disagio sociale e, quindi, le
conseguenti possibili proteste. Per i lacchè della élite
finanziaria e industriale il ruolo principale risulta proprio quello
di controllare il fenomeno della disoccupazione al fine di non
disturbare troppo coloro posti in cima alla catena di potere. Ed è
su questo aspetto cruciale che nasce il grande inganno sul concetto
stesso del tasso di disoccupazione; a norma del decreto legislativo
297/2002 e successive modificazioni si è disoccupati o inoccupati se
non si risulta attivi nel mondo del lavoro secondo le seguenti
specifiche:
-”L'Inoccupato” è
colui che non ha mai svolto attività lavorativa in nessuna forma,
autonoma o subordinata e sia alla ricerca di un'occupazione, ovvero
abbia effettuato iscrizione al Centro per l'impiego, da più di 12
mesi o da più di 6 mesi se giovane.
-”Il Disoccupato” è
quel soggetto precedentemente occupato che sia divenuto privo di
lavoro e che si sia reso immediatamente reso disponibile allo
svolgimento ed alla ricerca di un'attività lavorativa.
Bene, indovinate chi
rientra nelle statistiche ufficiali per la determinazione del tasso
di disoccupazione? Solo il disoccupato. L'Inoccupato rappresenta
quella vasta zona grigia che altera in maniera significativa la
realtà del mondo lavorativo; per le statistiche sul tasso di
disoccupazione semplicemente non esiste. Ecco spiegata la ragione
della sua inattendibilità. In realtà gli Italiani che non riescono
a trovare un lavoro sono molti di più; quelli identificati come
“Inoccupati” non fanno parte delle percentuali statistiche che
vediamo diffuse abitualmente dai mass media. Tanti Italiani sono
senza lavoro e non hanno neanche la soddisfazione di rientrare
ufficialmente nella categoria dei “disperati”. Se dovessimo
sommare gli inoccupati ai disoccupati si raggiungerebbero percentuali
che l'élite dominante non vuole assolutamente far conoscere.
Una volta compreso che il
tasso di disoccupazione rappresenta uno dei punti di debolezza del
moderno sistema economico basato sul neoliberismo, non sorprende come
sia così astutamente alterato dalla classe politica prezzolata.
Ah, questa dannata
ideologia sta alterando sempre più la vita sociale ed economica del
popolo italiano. Non a caso essa è basata su tre principali
pilastri:
-Riduzione degli
interventi dello Stato in economia.
-Mobilità del lavoro
-Flessibilità dei salari
Il primo ha portato in
primo luogo alla privatizzazione selvaggia dell'apparato bancario e
industriale della Nazione e alla perdita della sovranità monetaria;
in più ha esteso i suoi tentacoli soffocanti nei settori
dell'istruzione, della sanità e della previdenza.
Il secondo ha indebolito
l'intera struttura del lavoro considerata componente da assoggettare
all'influenza del dio profitto provocando l'aumento della
disoccupazione reale.
Il terzo ha portato ad
una situazione degenerativa a livello globale con la riduzione dei
salari interni.
Tre azioni che stanno
causando squilibri tra le classi sociali permettendo a chi è molto
ricco di essere sempre più ricco e a tutti gli altri, cioè la
stragrande maggioranza, di essere sempre più poveri e infelici. Sino
a quando l'Italia resterà imbrigliata nelle maglie dell'Unione
Europea costruita intorno agli interessi della grande finanza
internazionale e all'euro la disoccupazione regnerà sovrana. In
questo contesto l'unico sistema per farla scendere è diminuire i
salari e gli stipendi dei soggetti con lavoro stabile stravolgendo
ancora i sacrosanti diritti dei lavoratori; con essa viene ferita la
dignità di ogni persona.
La vera disoccupazione
divora come un tumore la società civile alimentando nelle case degli
Italiani insicurezza, frustrazione e miseria.
Alfred B. Revenge
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