Ieri abbiamo appreso
dell'ennesimo attacco terroristico contro bambini e civili inermi. A
Minya, città dell'Egitto a circa duecentocinquanta chilometri a sud
del Cairo, una decina di esseri spregevoli armati di tutto punto
hanno attaccato un convoglio di bus su cui viaggiavano dei cristiani
copti uccidendo e ferendo oltre cinquanta persone tra cui diversi
bambini. Una nuova crudele azione che nulla a che fare con guerre o
insurrezioni, bensì con la professione di un credo diverso. Persone
innocenti si recavano a un monastero per pregare, ma un crudele
destino li attendeva; proiettili di piombo sparati da armi
automatiche imbracciate da terroristi hanno straziato i loro corpi
trasformando una giornata di gioia in una di morte.
A un certo punto sorge
spontanea la domanda. Ma cosa hanno in comune la maggior parte degli
attentati che riempiono le cronache nere da tanti anni? Qual è la
principale matrice degli eccidi che avvengono in Asia, Europa, Africa
e America? La risposta è giunta rapida, il grido di Allah Akbar.
Uomini uccidono altri uomini e spesso se stessi in nome di un Dio.
Si sente affermare che
tali azioni sarebbero compiute da un numero limitato di fanatici che
traviserebbero gli insegnamenti del Corano, ma è proprio così?
L'analisi dei freddi
numeri è impietosa. Sapete quanti attentati di matrice islamica sono
stati eseguiti nel mondo dal 2001 ad oggi? Sapete quante vittime
hanno causato? Esaminando i valori più prudenziali tra quelli
forniti da fonti come il Global Terroris Database e The Religion of
Peace la risposta è drammatica. Oltre trentamila attentati con
centinaia di migliaia di morti e feriti. Parliamo di una media di
quasi duemila attentati l'anno, circa cinque al giorno. Dati che
dovrebbero far riflettere sulla reale capacità penetrativa di questo
fenomeno terroristico basato sull'ideologia religiosa fondata
millecinquecento anni fa da un commerciante di La Mecca.
Alfred B. Revenge
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