In questi giorni è
montata una polemica sulle capacità di vigilanza della banca
d'Italia, tanto da mettere in discussione la poltrona dello stesso
governatore. La ritengo una discussione inutile, motivata
probabilmente solo da ragioni elettorali. Altresì, ciò che ha
destato il mio interesse è l'unanime levata di scudi, anche dai
parte dei richiedenti la testa del numero uno di via Nazionale, a
difesa della“indipendenza” di bankitalia.
Ma indipendenza da chi?
Dal popolo italiano? Io penso che sia proprio questo uno dei gravi
problemi che da tempo gravano sul nostro Paese.
Tempo fa scrissi
(“Svegliamoci!”-edizione 2015-):
<In un recente
documento riservato della banca d'Italia dal titolo “Un
aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca
d'Italia” è scritto:
“Occorre evitare che si
dispieghino gli effetti negativi della legge numero 262 del 2005, mai
attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della
proprietà del capitale della Banca. L'equilibrio che per anni ha
assicurato l'indipendenza dell'Istituto, preservandone la capacità
di resistere alle pressioni politiche, no va alterato.”
Al di là della mania di
grandezza che pervade lo scritto per via della maiuscole sulle parole
relative alla banca centrale ciò che fa rabbrividire è il disprezzo
nei confronti del Parlamento Italiano, l'istituzione legislativa
eletta direttamente dal popolo. I burocrati della banca d'Italia non
vogliono che la proprietà sia dello Stato, ma gradiscono quella
delle banche private.
E' il solito ritornello
delle banche centrali: noi dobbiamo essere indipendenti per evitare
l'ingerenza della politica che potrebbe condurci, per ragioni
elettorali, a far stampare troppi quattrini generando il fantasma
dell'inflazione.
Quanta falsità! La banca
d'Italia vuole essere autonoma dal Tesoro dello Stato, ma legata a
filo doppio con le casse delle banche private per fare i suoi comodi.
Per non parlare dell'inefficienza dimostrata in tante occasioni negli
ultimi decenni, a partire dall'avvento come governatore del tanto
venerato e osannato Carlo Azeglio Ciampi, su crisi valutarie e sulla
vigilanza del sistema bancario.
Ma come; l'articolo uno
dello statuto indica chiaramente che la banca è un istituto di
diritto pubblico, ma i ben pagati burocrati dell'istituto mettono
nero su bianco che non vogliono lo Stato suo proprietario. Quale
incredibile presa in giro.
La verità è che la
banca d'Italia, come qualsiasi altra banca centrale vuole
l'indipendenza e la totale autonomia dalla volontà del popolo per
fare gli interessi esclusivi dei suoi amati figli, cioè le banche.
Questa condizione è
realmente deplorevole, il patrimonio della banca centrale, comprese
le riserve valutarie e l'oro, è della collettività, invece
assistiamo all'incredibile paradosso che i soliti potentati ne
controllano le quote incassando anche un bel po' di utili. E ancora
più inverosimile è che parte dei guadagni dell'istituto centrale
nascono quando la BCE stampa i soldi e li presta.
Allora, facciamo in modo
che sia direttamente lo Stato Italiano a stampare le banconote
indispensabili alla nostra economia. E' un discorso elementare che,
ovviamente, andrà sempre di traverso a chi detiene oggi le leve
dell'effettivo e concreto potere. Noi cittadini italiani siamo
incatenati da questi tiranni in giacca e cravatta!
E per favore, non si
venga a raccontare la favoletta che gli istituti privati
rappresenterebbero una fonte di garanzia e indipendenza per le banche
centrali. Chi ci crede più dopo gli innumerevoli scandali bancari
nazionali e internazionali costati enormi quantità di denari a noi
poveri mortali.
E' imperativo che la
banca d'Italia ritorni a essere pubblica, ma senza che tale
operazione porti soldi reali ai già ricchi banchieri. Sarebbe una
sorta di esproprio per pubblica utilità. Alle banche non farebbe poi
tanto male una cura dimagrante di potere.
E poi se si andasse a
vedere chi sono i soci della banca d'Italia (fonte: sito ufficiale
della banca d'Italia) si avrebbero amare sorprese. Infatti, i
maggiori azionisti sono Intesa San Paolo e Unicredit, di cui tutto si
può dire tranne che siano entità pubbliche visto che il maggiore
azionista per entrambe è il “mercato” costituito dalle più
grandi corporazioni estere quali banche e fondi comuni con sigle
fumose, sedi anche in aree offshore e che, guarda caso, rientrano tra
le centoquarantasette compagnie controllanti ogni cosa nel mondo di
cui allo studio dello Swiss Federal Institute of Technology di
Zurigo. Si pensi che per l'Unicredit solo una piccolissima parte
degli investitori istituzionali è italiana.
Allora, nello statuto
della banca d'Italia viene specificato che essa è un'istituzione
pubblica italiana, ma i suoi principali soci nulla hanno a che vedere
con il nostro amato Paese.
Forse in molti
obietteranno che sono fuori strada poiché i soci della banca
d'Italia non contano nulla e che le decisioni le prende il
governatore nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il parere
del Consiglio Superiore (articolo diciotto dello statuto); parere di
decisiva importanza visto che lo stesso articolo dello statuto lo
segnala come essenziale ai fini della decisione del Consiglio dei
Ministri.
In pratica, il nome
viene...suggerito dal Consiglio Superiore che rappresenta un organo
fondamentale della banca d'Italia.
Ma cos'è questo
Consiglio Superiore? Esso è composto dal governatore e da tredici
consiglieri nominati dall'assemblea (articolo quindici dello
statuto). Assemblea? Ma quale assemblea? Beh, quella dei soci che non
conterebbero un tubo.
Pertanto, in definitiva,
anche la scelta del governatore è frutto della decisione di
consiglieri nominati dalle banche. D'altronde, a parte i numeri,
statuti, eccetera, basta usare un po' di buon senso. Ma il nostro
Presidente della Repubblica avrà mai la possibilità di nominare
governatore un soggetto diverso da quello che le lobby bancarie hanno
già scelto?
Quindi, la conclusione
logica è che la banca d'Italia non è un'istituzione pubblica perché
di fatto i suoi controllori sono società per azioni dominate
concretamente da soggetti privati i cui interessi non coincidono con
quelli dell'intero popolo italiano.>
La banca d'Italia è un
regno indipendente con i suoi privilegi. Ricordate la recente presa
di posizione della Corte dei Conti e della stessa banca centrale?
Affermavano: “tutti in pensione a settant'anni.” Ebbene il vero
eldorado dei dipendenti pubblici è proprio la banca d'Italia
(pubblici poi perché? Mah!). I fortunati dell'istituto centrale
assunti sino al 1993 vanno in pensione a sessant'anni con il sistema
retributivo. Woh! Ma come si fa ad avere un tale tasso di ipocrisia?
Inoltre, Il governatore
prende oltre mezzo milione di euro l'anno, uno stipendio triplo del
suo collega della Federal Reserve, la banca centrale statunitense; il
direttore generale oltre quattrocentomila euro l'anno; per non
parlare dei circa seicento dirigenti che prendono di più del
Presidente della Repubblica. Quando ci fu un breve blocco dei
contratti e, quindi, degli stipendi, i dipendenti del grande “regno”
subito si ribellarono ritenendosi membri a tutti gli effetti della
struttura dominante. Il personale della banca d'Italia, a partire dal
vertice, ha sempre seguito la politica del rigore; come no, quella da
applicare soltanto agli altri. Insomma, una volta entrati nel dorato
ed esclusivo mondo di banca d'Italia non esiste più crisi che tenga,
non esiste il precariato, non esiste il tetto sulle retribuzioni
pubbliche, non esistono stipendi da comuni mortali, non esistono
licenziamenti, non esiste la cassa integrazione, non esiste una
pensione da fame; esistono unicamente privilegi tipici di una banca
centrale indipendente dalla volontà popolare.
Nel regno della banca
d'Italia vige sacro il principio di due pesi e due misure, segno
distintivo della classe elitaria.
Alfred B. Revenge
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