"Nessun Uomo è un'Isola"
La lettura dei bellissimi
versi del poeta inglese John Donne, che furono successivamente
ripresi e resi famosi dallo scrittore statunitense Ernest Hemingway
nel suo libro “Per chi suona la campana”, hanno condotto la mente
ad elaborare alcune semplici domande:
Desideriamo farci belli,
ma per quale ragione?
Desideriamo riuscire
nella vita, ma per quale ragione?
Desideriamo costruire,
realizzare qualcosa, ma per quale ragione?
E, soprattutto, per quale
ragione sentiamo inarrestabile il bisogno d'amore e di far felice un
nostro simile?
Le mie risposte hanno
sempre la stessa base comune; ogni essere umano sotto l'aspetto
emozionale risulta incompleto. E' come se fossimo titolari di
capacità come l'intelligenza, la sensibilità, la volontà, che
acquisiscono pieno significato soltanto se entrano in simbiosi con
quelle di altre persone. Doni di madre natura che si uniscono con
doni di madre natura per creare un qualcosa di veramente perfetto.
Sì, la completezza raggiunta attraverso una fusione tra ciò che di
più vitale è racchiuso in ognuno di noi. E cos'è questo se non
amore? D'altronde, la stessa storia dell'uomo non è altro che la
continua ricerca di soddisfare il bisogno di quell'amore spesso
fortemente contrastato da emozioni e pensieri tutt'altro che nobili.
Ecco perché io penso che la realizzazione di ognuno di noi si
raggiunge quando vengono reciprocamente scambiati i doni che la
natura ci ha generosamente riservato.
Già migliaia di anni fa
qualcuno scrisse nel più famoso libro della storia umana:
“Non è bene che l'uomo
sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile.” Fu allora,
secondo quanto scritto nella genesi della Bibbia, che “Dio plasmò,
con la costola che aveva tolto all'uomo, una donna e la condusse
all'uomo. Allora l'uomo disse: “Questa è carne della mia carne, è
ossa dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata
tolta.”
Bene, io penso che queste
parole, al di là del credo religioso, abbiano una particolare
rilevanza; non a caso, nel linguaggio semitico il termine “carne
della mia carne” significa un essere come me stesso, un'unione
completa in ogni aspetto. Uomo e donna, pur nel rispetto della loro
individualità, rappresentano un'unica cosa, un'unica realtà. Ecco
che la solitudine soccombe. Ecco perché in questi versi di John
Donne l'uomo non è solo; ogni suo gesto, incluso il morire,
coinvolge altri esseri umani.
Nessun uomo è un'isola
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del
continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una nuvola
venisse lavata via dal
mare,
l'Europa ne sarebbe
diminuita,
come se le mancasse un
promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo
mi sminuisce,
perché io sono parte
dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona per te.
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